SEMINARIO NAPOLI 8/10/2010
Avvocati Europei Democratici e Unione Ordini Avvocati del Mediterraneo
con il patrocinio del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli e del Comune di Napoli
LA FACCIA NASCOSTA DEL PROCEDIMENTO PENALE
SEMINARIO
Napoli – Maschio Angioino – Cappella Palatina
Venerdì 8 ottobre 2010
Ore 9,30 Registrazione
ore 10,00 – 13,00
Saluti e interventi introduttivi
Avv. Francesco Caia – Presidente Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli
Avv. Gilberto Pagani – Presidente AED
Avv. Arturo Frojo - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli
Prof. Avv. Marcello D’Aponte – Assessore al Patrimonio del Comune di Napoli
Presentazione
Avv. Anne Maesschalk –– Syndicat Avocats pour la Démocratie (SAD- Belgio)
Interventi
La legislazione dei vari paesi europei in tema di fermo di polizia
Avv. Didier Ligier – Syndicat Avocats de France (SAF - Francia)
Dibattito sul tema con l’intervento dei rappresentanti di varie associazioni aderenti alla AED
ore15,00 – 19,00
Interventi
Il diritto penale del nemico – Avv. Fabio Maria Ferrari (Legal Team Italia)
La perversione del processo penale – Avv. Paula Arce – Ass. Catalana per la Difesa dei Diritti Umani (ACDDH - Barcellona)
Il diritto penale come strumento di controllo sociale - Avv. Simonetta Crisci (Legal Team Italia)
Dibattito moderato dall’Avv. August Gil Matamala – Presidente d’Onore dell’AED
Conclusioni
La partecipazione all’evento darà diritto a n. 6 crediti formativi
Dal Manifesto - Ezio Menzione sulle sentenze d'appello di Genova
Le tre sentenze d’appello di Genova sul G8
di Ezio Menzione
25 condannati su 26 imputati per la “macelleria cilena”, come fu definita, da uno degli stessi imputati, quella tragica notte nella scuola Diaz, quando la polizia, apparentemente senza alcun motivo, assaltò l’edificio in cui stavano ormai dormendo cento esausti manifestanti, dopo due drammatiche giornate in cui avevano dovuto subire violenze e arresti per le vie di Genova. E assaltò anche l’edificio di fronte, la scuola Pascoli, dove avevano sede le associazioni che organizzarono il Genoa Social Forum.
Siamo alla terza sentenza importante emessa dalla Corte d’Appello di Genova per ciò che accadde attorno al G8 genovese alla fine del luglio 2001 ed essa ha portato alla condanna con pene significative (anche se “mangiate” dall’indulto o dalla prescrizione) non solo dell’ispettore Canterini e dei suoi “boys” della squadra speciale che fece materialmente l’irruzione (già condannati in primo grado), ma anche di tutti gli altri imputati (meno uno), compresi – praticamente il primo caso in Italia – i gradi intermedi della filiera di comando dell’operazione e di tutti coloro che si dettero d’attorno per firmare arresti ingiustificati e quindi falsi o si inventarono di sana pianta alcuni fatti come attribuire agli ignari manifestanti all’interno dell’edificio il possesso di tre bottiglie molotov o l’aggressione con un coltello ad un agente. Insomma, la linea di difesa dei poliziotti è stata del tutto sbugiardata e le loro responsabilità sono state pienamente riconosciute.
Sono passati 9 anni da quando gli “8 grandi” si riunirono a Genova nei loro palazzi blindati, mentre centinaia di migliaia di manifestanti si riunivano per contestare sia la loro titolarità a prendere decisioni per l’intera umanità che le linee stesse di tali scelte. Fu, in pratica, l’ultimo G8. Da allora – grazie anche a quella contestazione – risultò chiaro quanto meno che così pochi non potevano decidere per tutti. Nel corso di questi 9 anni il numero di convitati a simili simposi si è andato allargando e oggi nessuno potrebbe pensare di decidere qualcosa senza Cina o India o Brasile e altri ancora. Lo slogan di allora, “Voi 8, noi tre miliardi”, evidentemente coglieva nel segno. Così come coglieva nel segno l’analisi di allora, quella fatta a caldo: a Genova in quei giorni si era sospeso ogni diritto individuale e collettivo, la democrazia in quel luogo, in quei momenti era stata annullata e calpestata. Aggiungiamo che, fortunatamente, dopo di allora ciò non è più accaduto e anche questo, forse, in parte almeno, è il risultato positivo delle denunce di allora. Tanto più positivo perché questi 9 anni, invece, sono stati caratterizzati dall’erosione della nostra democrazia. Ma erosione non è uguale ad azzeramento.
I fatti di allora sono ormai cristallizzati in 6 sentenze di merito (tre di primo e tre di secondo grado) che riguardano il comportamento in piazza dei manifestanti (più esattamente di 25 manifestanti), l’assalto della polizia alla scuola Diaz e le violenze su cittadini inermi detenuti a Bolzaneto. La ricostruzione operata da queste sentenze ben difficilmente potrà essere grandemente modificata in futuro dal punto di vista giudiziario. Chi andrà in Cassazione, siano manifestanti o poliziotti, potrà ottenere l’annullamento di una sentenza o di parte di essa per motivi di diritto, ma la ricostruzione quella è e quella rimarrà.
Ma questa ricostruzione storico-giudiziaria corrisponde a ciò che tutti ricordiamo che accadde in quei drammatici giorni? A me pare di sì, almeno a grandi linee. Vediamola un po’ più da vicino.
I presunti black block e i fatti di strada: per quanto riguarda i manifestanti (teniamo presente che i processati erano 25 rispetto a centinaia di migliaia) corrisponde al vero che alcuni si lasciarono andare ad atti gratuiti di vandalismo, come succede in molte occasioni, ma in forma più grave. Così come corrisponde al vero che la reazione talora violenta dei manifestanti fu scatenata dal comportamento illegittimo e gratuitamente violento delle forze dell’ordine. Infatti proprio per questo motivo solo alcuni dei 25 sono stati pesantemente condannati, mentre altri, per altri episodi, sono stati assolti. Le tante sentenze sui cosiddetti “fatti di strada” – in genere rubricati sotto “resistenza” – in cui prevalgono nettamente le assoluzioni dei presunti manifestanti aggressori, attestano ulteriormente degli arbitrii e degli arresti pretestuosi compiuti dalle forze dell’ordine.
Bolzaneto: la responsabilità di molte delle forze che avevano in mano la caserma (si tratta di appartenenti a diversi corpi) è stata riconosciuta e sanzionata. Lo stesso vale per quanto riguarda la Diaz. E in ambedue i casi non è stata condannata solo la bassa manovalanza, ma anche i responsabili sul campo. Le condanne non sono state moltissime anche perché la polizia ha sempre boicottato le indagini dei magistrati. Purtuttavia siamo di fronte a una novità del tutto inedita rispetto all’abitudine dell’insabbiamento in casi simili, soprattutto per i gradi alti. Senza volere fare analogie, ma pensiamo che l’indignazione attorno al caso Cucchi ci sarebbe stata se il processo di Bolzaneto non avesse svelato ciò che può accadere quando si è in mano a chi dovrebbe custodirci?
La scuola Diaz: la ricostruzione è stata più complessa perché risultava incomprensibile l’intero episodio. Oggi l’ultima sentenza ci ha detto che l’ordine della mattanza ci fu; i gradi intermedi sapevano ciò che sarebbe accaduto e lo vollero, per “recuperare” quella che loro consideravano la debolezza dimostrata “sul campo” nei due giorni precedenti; e che altri cercarono di occultare le responsabilità.
Non siamo molto lontani da come le cose effettivamente andarono, per il bene (poco) e per il male (moltissimo). Si può dunque essere moderatamente soddisfatti di questo faticosissimo cammino giudiziario. Finora, in genere, in altri casi tutto rimaneva avvolto nella nebbia più profonda. Qua l’abbiamo diradata: a sprazzi e solo in parte, ma le linee accertate sono chiare.
Eppure, ci rimane un senso di insoddisfazione, anche di fronte ad una magistratura che si è espressa ricostruendo almeno parte della verità sui fatti di allora.
Il tempo: il primo motivo di insoddisfazione salta agli occhi: 9 anni sono davvero troppi. Chi si straccia quotidianamente le vesti per la durata dei processi e trova così la scusa per ridurre le garanzie del cittadino imputato dovrebbe riflettere su questa durata record.
I responsabili in alto loco: secondo motivo: non si è indagato sulle responsabilità apicali. Fatti così gravi come la Diaz, Bolzaneto e la tenuta dell’ordine (si fa per dire) in piazza durante il G8 non avvengono senza coinvolgere ora per ora, minuto per minuto chi aveva in mano il potere di indirizzo generale (i ministri competenti, soprattutto Fini, Scajola e Castelli: tutti e tre presenti a Genova in quei giorni e le direzioni ad essi afferenti). Tanto ciò è vero che vi è il forte sospetto che quei vertici, ancora molti anni dopo, abbiano tentato di manipolare i processi genovesi.
Le pene. Duri con gli uni e morbidi con gli altri: stride che nessuno del fronte dell’ordine andrà mai in carcere per ciò che ha fatto (del resto, questo era lo scopo dell’indulto del 2006: creare un paracadute per i poliziotti di Genova), mentre una decina di manifestanti sono stati condannati a pene che di solito si comminano solo per omicidio, mentre, pur ammettendone la responsabilità, non poteva non riconoscersi che si trattava di aggressione a beni materiali e mai a persone e dunque dovevano essere trattati con maggiore equanimità. Oggi, alcuni giovani andranno in galera per molti anni, mentre i rappresentanti delle forze dell’ordine condannati sono ai vertici dei rispettivi corpi di appartenenza e non faranno un giorno in carcere.
Le promozioni: in Italia, si sa, nessuno paga fra i governanti, ma questi hanno fatto una carriera folgorante. Certo, è il segno che questo manipolo di uomini poteva e può – come si dice volgarmente – “tenere per le palle” i propri superiori ed il loro silenzio andava retribuito.
Magistratura e politica: in genere, colpisce come a fronte di una magistratura che faticosamente ma onestamente si è espressa, il mondo della politica (tutto, ricordiamoci le titubanze della sinistra sull’istituzione di una commissione di inchiesta, che infatti non c’è mai stata) ha fatto quadrato attorno ai responsabili delle nefandezze. Ricordiamo che il massimo responsabile di tutto ciò che è accaduto a Genova in quei giorni, l’allora capo della polizia e oggi capo dei servizi segreti De Gennaro è rimasto sempre al suo posto, sia coi governi di destra che con quelli di sinistra. Evidentemente, tanto per usare il termine adoprato sopra, “tiene per le palle” tutti i politici.
Il punto più dolente: nulla è stato chiarito circa la morte di Carlo Giuliani. Non è un caso che si è trattato dell’unico episodio (il più grave) su cui non si è fatto il processo. In questo caso, certamente, vi sono state responsabilità anche della magistratura genovese. Il non avere celebrato un processo sull’assassinio di Carlo costituirà sempre un limite, un vulnus per chi, anche storicamente, vorrà ricostruire quei drammatici giorni genovesi.
ASSISTENZA LEGALE per la FLOTILLA PER GAZA
COMUNICATO STAMPA
IL LEGAL TEAM A SOSTEGNO DELLA FLOTILLA PER GAZA
In questi giorni sta salpando dai porti di Irlanda, Turchia e Grecia, diretta a Gaza City, una flotta di otto navi che trasportano materiali da costruzione, impianti di desalinizzazione dell’acqua, impianti fotovoltaici, generatori, materiale per la scuola e farmaci da consegnare alla società civile palestinese afflitta da anni di duro embargo.
Il Legal Team Italia ed il Legal Team Europa, associazioni di avvocati impegnati nella tutela dei diritti civili e politici, seguono con la massima attenzione questa importantissima missione umanitaria.
Il governo israeliano ha dichiarato che impedirà in tutti i modi possibili (anche con la forza se necessario) l'arrivo delle navi e la consegna dei materiali.
Se ciò avvenisse sarebbero in pericolo anche i 600 passeggeri di oltre 40 nazionalità che sono imbarcati sulle navi.
Il Legal Team vigilerà sul rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale e dell'integrità degli aderenti alla missione Flotilla per GAZA, cui partecipano anche molti cittadini italiani ed europei, ed in caso di violazioni, si adopererà con ogni mezzo affinchè gli eventuali crimini commessi in loro danno vengano adeguatamente sanzionati nelle sedi giudiziarie nazionali ed internazionali.
Milano, 25/5/2010
Legal Team Italia - Legal Team Europa.
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per contatti e informazioni
Avv. Dario Rossi – 0039 349 8827628
alias del 3/4/2010 - Augusto Frezza - Tra l'asilo e la caserma
Qualcosa in me cambia il giorno dei funerali di stato per i nostri 309 morti. Prima, fino a quel giorno, ci eravamo quasi sentiti dei miracolati: a Villa Sant'Angelo, un paese distante pochi chilometri dall'Aquila, dov'ero finito con la mia compagna, c'era la protezione civile dell’Emilia Romagna e il campo che avevano messo su era ben organizzato: buon cibo, bagni puliti, docce con acqua calda.. e in tenda è una ficata: la terra continua a tremare ma ti senti al sicuro, protetto. Ciò nonostante l'insofferenza cresce, col passare dei giorni e alcune cose cominciano ad andarmi di traverso. Ma è il giorno dei funerali che mi allontano, definitivamente, da quella sensazione di beneficiato dagli eroi che arrivano da tutta Italia, in polo blu, come il loro onnipresente capo: ci sono le esequie di stato, le autorità permetteranno l’accesso alla caserma massimo a tre familiari per vittima, ci dicono. E' il primo smacco per gli aquilani che avrebbero voluto portare l’estremo saluto a parenti, amici, conoscenti e concittadini. Non vado in quell’oceano di dolore. Aspetto le salme a Villa. Dopo tre ore, la diciottesima salma ancora non arriva. Nell’enorme caos organizzato dalla Protezione Civile per dei funerali trasformati in show, invece che a Villa S. Angelo, il cassamortaro si è diretto a Città S. Angelo, vicino Pescara, a cento chilometri da qui.
Il vento è freddo. Passano pochi giorni e arriva la novità del tesserino. Da tenere bene in mostra all’ingresso al campo. Non ce la faccio ad esibirlo, ogni volta che entro mi invento una scenetta. Come me fanno tutti, difficile abituarsi alla nuova vita, figuariamoci anche a questo tipo di controllo continuo. Vorremmo solo ritrovare un po' di normalità. Le regole cambiano di ora in ora, non fai in tempo a impararne alcune che già ce ne sono decine di altre. Ancora pochi giorni e si passa al tesserino con foto. Ma nemmeno con questo puoi muoverti liberamente;:controlli ovunque, camionette, pattuglie, militari con pistola bene in vista con quel vezzoso modo di portarla piuttosto calata sul pantalone e il laccetto a tenerla. Scene di guerra a cui ti abitui lentamente, e questa èp la cosa peggiore. Quelli che non ci stanno alzano la voce ma il mantra della sicurezza è iniziato a penetrare nelle menti fiaccate dallo stress e dal dolore. E’ per gli sciacalli, ti dicono candidi, ma quali sciacalli? In tutti quei giorni vengono sorpresi due, due tizi a rubare un po’ di rame! Solo molti mesi dopo gli aquilani cominceranno a capire che gli sciacalli, quelli veri, stavano già ricostruendo la nostra città. Purtroppo invece non si sentono tali coloro che hanno innalzato i prezzi delle case in affitto a livelli mai raggiunti prima.
All'inizio siamo in pochi a sentire che la nostra città è diventata un’enorme caserma. Ma poi, man mano che i divieti si moltiplicano, comincia a montare la rabbia. E qualcuno addirittura abbozza una qualche forma di resistenza: volantini, iniziative, film, manifestazioni. Ci proviamo, ma entrare nei campi per volantinare o pubblicizzare le iniziative è quasi sempre vietato. I mesi nelle tendopoli se ne vanno così: a litigare con i capi campo per ottenere ciò che per gli altri cittadini italiani è normale, niente più che elementari diritti. Personalmente, porto avanti la mia opera di disobbedienza: fino all’ultimo dei giorni trascorsi al campo mi rifiuto persino di farmi la foto. Me lo posso permettere, però, perché sapendo che sono un avvocato non insistono. Eppure attorno a me ne vedo di ogni colore: grottesco, per esempio, quel che accade alla Claudia, italovenezuelana e originaria proprio di Villa, amica di infanzia del sindaco. Qui tutti la conoscono ma una sera all'ingresso della tendopoli non la fanno entrare, non ha il tesserino, batti e ribatti non sentono ragioni. Alza la voce, è tardi, si avvicina qualche paesano che costringe il capocampo alla resa. Due ore per riuscire a rientrare nella sua tenda e andare a dormire e, il giorno dopo, doversi pure sentire il suo amico sindaco giustificare le ragioni di certi incomprensibili atteggiamenti.
Le cose però peggiorano quando si avvicina il G8: nei campi vengono vietati il caffè e la cioccolata. Rischio nervi tesi, dicono. Sono piccoli odiosi atti che non sono né annunciati nè discussi né spiegati. La possibilità per addetti della Protezione civile di poter emanare direttive, ordinanze e circolari, è totale. Ma ancora più spesso accade che i divieti, le regole che mutano in continuazione, non siano nemmeno codificate, non uno straccio di testo che permetta a noi avvocati di poter intervenire, fare ricorso, opporsi. Un’arbitrarietà odiosa e fastidiosa che rende tutti noi cittadini figli immaturi in una grande famiglia dove non è prevista partecipazione alcuna ai processi decisionali.
E’ estate, il G8 della Maddalena è stato spostato all’Aquila; Gilberto Pagani è il presidente del Legal Team Italia, avvocati ed operatori di diritto da sempre impegnati a cercare di limitare soprusi, violenze e la violazione dei più elementari diritti che spesso accompagnano i raduni collegati a questo evento. Per l’arrivo del circo del G8, il Legal Team contatta gli avvocati aquilani. Il giorno della manifestazione conclusiva arrivano colleghi da tutta Italia e rimangono colpiti più di noi per il clima che si vive all'Aquila, con quasi tutti i comitati, le associazioni e le realtà locali che oppongono un brusco stop alle varie forme di protesta, adducendo la giustificazione che ci troviamo in una città ferita e che non è il caso di creare scompiglio e alienarsi le simpatie degli aquilani. Ma alla fine un corteo, imponente e variegato, percorrerà l'unica arteria stradale che da Paganica porta alla Villa dell'Aquila. Organizzato dai Cobas, Rdb-Cub, Rete nazionale No-G8, e con l'adesione di un unico comitato cittadino aquilano: Epicentro solidale. E’ l’inizio. A fine ottobre, il Legal Team è il primo, in Italia, a lanciare il grido d’allarme per lo scempio di una protezione civile che si vuole trasformare in Spa. In un convegno, che si avvale tra gli altri degli interventi del professor Giovanni Incorvati e dell’avvocato Ezio Menzione, (come raccontò il manifesto, unico tra i quotidiani nazionali ad occuparsene) cerca di aprire gli occhi ancora socchiusi degli italiani sul sistema dei cosiddetti grandi eventi, sulle ordinanze e sul paradigma dell'emergenza. Prima che l'inchiesta fiorentina, tramite le intercettazioni, svelerà al mondo i segreti della “cricca della Ferratella”. Il resto…è cronaca giudiziaria.