Comunicato sulla sentenza della Corte d'Appello di Genova
IMPORTANTE SENTENZA DELLA CORTE D'APPELLO DI GENOVA
RICONOSCIUTI I DIRITTI DELLE VITTIME DI BOLZANETO
Il Legal Team Italia accoglie con grande soddisfazione la sentenza della Corte d'Appello di Genova che ha ritenuto la responsabilità penale di tutti i 44 imputati responsabili delle violenze e degli atti di tortura commessi ai danni delle persone detenute nella struttura carceraria di Bolzaneto durante lo svolgimento del g8 del 2001 a Genova.
Per via del meccanismo della prescrizione solo 8 degli imputati hanno subito una condanna a pene detentive.
I responsabili non hanno subito una effettiva punizione in quanto l'Italia non ha ancora adottato una legge che punisca la tortura, in violazione degli accordi internazionali.
Tutti gli imputati sono stati però condannati a risarcire le parti civili e sono state liquidate alle stesse parti civili (tra cui alcuni genitori delle vittime) provvisionali di entità considerevole; i Ministeri dell'Interno, della Difesa e della Giustizia sono stati condannati al pagamento in solido con gli imputati.
La Corte d'Appello ha applicato la legge esistente senza alcun favoritismo per la qualità degli imputati (tutti ufficiali o agenti delle forze dell'ordine), dopo un lungo e minuzioso lavoro investigativo condotto dalla Procura della Repubblica.
Il ruolo degli avvocati delle parti offese, che sin dai giorni del luglio 2001 hanno denunciato le violenze e le torture, è stato fondamentale; abbiamo raccolto e presentato le denunce delle vittime, sostenuto la ricerca della verità, partecipato ai processi con dedizione e caparbietà, coadiuvati da una efficiente segreteria tecnica che ha portato un contributo fondamentale al lavoro degli inquirenti.
Si è trattato di un lavoro collettivo, portato avanti da un collegio difensivo a cui hanno partecipato colleghi di tutta Italia e di tutta Europa che riteniamo non abbia precedenti nella storia dell'Avvocatura.
Questo importante risultato è la più evidente dimostrazione di quanto sia fondamentale il ruolo degli avvocati democratici nel sostenere le ragioni delle vittime della violenza dell'apparato statale, e ottenere il riconoscimento dei loro diritti.
Ci auguriamo che questa sentenza avrà un salutare effetto di monito nei confronti di tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine che abbiano la tentazione di non attenersi alle regole della democrazia e del rispetto dei diritti umani.
Il nostro impegno, oltre a proseguire sulla strada del riconoscimento dei diritti violati a Genova durante il g8 del 2001, è ora diretto a sostenere l'approvazione in Italia di una legge contro la tortura e il ricorso presentato alla Corte Europea dei Diritti Umani da alcune delle vittime di Bolzaneto contro l'Italia per la mancata approvazione di questa legge.
Milano, 5/3/2010
Legal Team Italia
www.legalteamitalia.it
il manifesto - 11/11/2009 - articolo sul convegno dell'Aquila del 30/10/2009
di Eleonora Martini - INVIATA A L'AQUILA
Terremotati come cavie
L'Aquila, un laboratorio per la legislazione d'emergenza. La palestra per i nuovi poteri della Protezione civile
Non solo L'Aquila, certo. Prima c'erano stati i rifiuti in Campania, la sicurezza nelle strade, il pericolo "zingari", gli incendi boschivi, il terrorismo e la «crisi internazionale dovuta alla guerra in Iraq». Poi si era replicato a Palermo, e pure a Viareggio. Ma L'Aquila è stata ed è tuttora un laboratorio, un campo di sperimentazione per affinare i poteri e la legislazione dell'emergenza. In modo che, in futuro, con un salto di qualità che superi le limitazioni temporali, si possa utilizzare lo stesso schema di governo per gestire le centrali nucleari, ad esempio, o qualsiasi altro luogo si voglia definire «strategico». Per riflettere sul paradigma dell'emergenza e sulle limitazioni della libertà imposte nelle fasi emergenziali, sulla militarizzazione dei territori e sui nuovi poteri della Protezione civile - cominciando dal "modello L'Aquila" - si sono incontrati nel capoluogo abruzzese giuristi ed esperti, docenti, magistrati e avvocati per il convegno «Ricostruire nella democrazia, ricostruire la democrazia», organizzato dall'associazione Legal Team Italia (Lti).
È l'avvocato Gilberto Pagani, presidente di Lti, a dipanare il filo del discorso. In principio, fin dall'11 settembre 2001, l'emergenza era securitaria. E in suo nome tutto poteva essere giustificato: «Procedure legali che venivano soppiantate da procedure sommarie» in «esenzione e in deroga dei diritti dei cittadini». Nel novembre 2007, per esempio, ricorda Pagani, il governo di centrosinistra decreta lo stato di emergenza nazionale per la questione "zingari". Rom e sinti in Italia ce ne sono da sempre, la maggior parte non è straniera. Eppure con il pacchetto sicurezza e il ddl Amato si procede a legiferare per fronteggiare la "crisi", si militarizzano i campi e si affida alla Croce rossa un ruolo inedito, quello del censimento e della schedatura di tutti i "nomadi". Allo stesso modo è stato trattato il problema dei rifiuti a Napoli e a Palermo, trasformando una situazione certamente gravissima che però poteva essere affrontata con misure ordinarie in un fenomeno emergenziale, militarizzando i siti e, in deroga alle leggi vigenti, proibendo l'esercitazione dei diritti fondamentali come quello di manifestare, o bypassando i limiti ambientali e paesaggistici di pianificazione e di difesa del suolo. Un precedente di «giurisdizioni parallele», di «eccezioni permanenti nell'ordinamento giuridico». Poi, «l'estendersi di norme che limitano i diritti e le libertà ha creato la crescita di reati legati alle proteste e alle manifestazioni», spiega ancora Pagani.
Ma è con il terremoto dell'Aquila che viene fornita una splendida occasione: si tratta in questo caso di un'emergenza reale, di una calamità naturale vera, forse l'unica tra tutte che «per intensità ed estensione» poteva effettivamente dover essere «fronteggiata con mezzi e poteri straordinari», come prevede al punto C) l'articolo 2 della legge 225 del 1992 che regolamenta il corpo della Protezione civile, fondato nel 1988. Negli altri casi, come fa notare Ezio Menzione, presidente della Camera penale di Pisa, si rientrava piuttosto nelle altre due tipologie definite dalla legge: «eventi connessi con l'attività dell'uomo» che possono essere «fronteggiati in via ordinaria» mediante «interventi attuabili dai singoli enti e amministratori competenti» (punto A), o da più enti e amministratori coordinati (punto B). «L'intervento della Protezione civile così come lo vediamo oggi, che sbaraglia enti e rappresentanze, - puntualizza Menzione - dovrebbe essere limitato all'ipotesi C): calamità naturali, catastrofi o altri eventi che per intensità ed estensione debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari». Ma così non è: negli ultimi 10 anni la Protezione civile ha avuto la gestione di ben 592 stati d'emergenza dichiarati.
Occasione d'oro, dunque, il terremoto in Abruzzo per poter mettere a frutto il ricorso al sistema dell'emergenza consentendo due risultati principali: «poter derogare alle leggi vigenti attraverso atti di governo e ordinanze (per l'emergenza terremoto sono 36) non sottoposte a vaglio del legislatore e non controllate», e poter «fare emergere la volontà dell'esecutivo e imporla». A L'Aquila, dal 6 aprile - come hanno testimoniato anche Stefano Frezza di Epicentro solidale e l'ingegnere Annalisa Taballione, del Collettivo 99 - si è potuto assistere alla costruzione di una sorta di «stato nello stato». «Non ci sono gli stessi diritti e le stesse leggi che valgono altrove. Sembra piuttosto un territorio in guerra, sottoposto a una sottrazione quotidiana di spazi e libertà di parola e di movimento - accusa l'avvocata Simona Giannangeli che difende alcuni familiari delle vittime della Casa dello studente - con una lenta erosione dei poteri decisionali delle comunità e degli enti locali, esautorati e costretti a sentirsi stranieri nella propria terra». Disapplicando completamente la legge istitutiva della Protezione civile che nella prima parte affida all'organizzazione il principale compito di prevenzione delle calamità e di informazione della popolazione sui rischi e sui piani di evacuazione, in 36 ordinanze il commissario straordinario Guido Bertolaso, sottosegretario alla Protezione civile («figura che nella legge istitutiva del '92 non meritava nemmeno la maiuscola», sottolinea Menzione) ha plasmato invece il futuro della città, del suo tessuto urbanistico e sociale. Ma la vita quotidiana dei cittadini terremotati è stata trasformata e limitata ogni giorno senza alcun atto scritto, nella più completa insindacabilità e discrezionalità politica e senza la possibilità di chiedere giustizia di fronte alle competenti autorità giudiziarie: «Ogni giorno nuovi divieti, nuovi orari, nuove zone rosse, nuovi passaggi, e tutto senza fonti normative a istituirli - racconta ancora Giannangeli -: in questo modo la violazione delle libertà individuali e dei diritti è stata ed è totale». Per decreto della presidenza del consiglio dei ministri, l'emergenza istituita il 6 aprile a L'Aquila cesserà il 31 dicembre 2010. La Protezione civile invece cesserà la sua opera di soccorso alla fine del 2009 lasciando molte patate bollenti nelle mani degli enti locali, ma la legislazione d'emergenza durerà un altro anno ancora.
Violando molti articoli della Costituzione, come ha spiegato Giovanni Incorvati, docente di diritto costituzionale alla Sapienza, la gestione dei soccorsi e della ricostruzione post terremoto ha impedito la partecipazione della popolazione alla gestione dell'emergenza. «No people, no landscape - cita il Consiglio d'Europa, il professor Incorvati - se non c'è la popolazione, se la si cancella dalla partecipazione alla vita pubblica o la si obbliga all'esodo forzato, non esiste più nemmeno il paesaggio».
Commento di Ezio Menzione alla sentenza d'Appello per Bolzaneto
SENTENZA D’APPELLO SU BOLZANETO
LA VERITA’ TARDIVA
di Ezio Menzione
Tutti condannati i gli ufficiali, gli agenti e i medici della Polizia Penitenziaria – 32 in tutto - che si resero responsabili delle violenze nella caserma-luogo di detenzione di Bolzaneto nei giorni dal 20 al 22 luglio 2001, nella Genova bloccata per il summit del G8. Trentadue responsabili, ma nessuna condanna concreta perché nel frattempo (sono quasi 9 anni) i reati contestati (lesioni aggravate, abuso d’ufficio, falso) sono andati prescritti: nessuno, dunque, corre il rischio di fare nemmeno un giorno di carcere. Ma la responsabilità generale, e non solo dei singoli, sembra essere stata definitivamente accertata. Tale accertamento comporta anche che tutti i “condannati” debbano rispondere civilmente per i danni subìti dalle moltissime vittime di quegli abusi; già sono state indicate delle congrue provvisionali.
Non si può non essere soddisfatti di questo risultato, tenacemente voluto da molte associazioni e da un gruppo di irriducibili avvocati che in tutti questi anni hanno puntato il dito sulle responsabilità dei singoli e dei capi.
Eppure la sentenza lascia anche un po’ di amaro in bocca.
Essa giunge tardi, come si è detto. Tardi rispetto ai tempi della giustizia e ai risultati che essa dovrebbe perseguire.
Ma soprattutto tardi rispetto alla necessità che si avvertiva, all’indomani dei fatti, che i responsabili politici ed operativi di quelle inaudite violenze venissero individuati e rimossi e pagassero per i crimini commessi. Invece, lungi dall’essere rimossi, quasi tutti hanno fatto carriera.
Come è potuto accadere che la prescrizione abbia “cancellato” per molti versi quei fatti?
Innanzitutto vi è una responsabilità generale che sta nel fatto che l’Italia non ha mai voluto introdurre nel proprio codice penale il reato di tortura (“trattamenti inumani e degradanti”di persone sottoposte). Nonostante che il nostro paese abbia sottoscritto la convenzione internazionale contro la tortura, poi non le ha mai dato attuazione pratica inserendo nel nostro ordinamento lo specifico reato. Ci si avvicinò durante il governo Veltroni, e la relativa legge venne calendarizzata in aula, ma poi il governo fu travolto e non se ne fece più di nulla. Se avessimo il reato di tortura, esso sarebbe stato sicuramente applicato nel caso di Bolzaneto e un reato così grave non si sarebbe prescritto.
Vi è poi la responsabilità di chi per anni ha coperto gli aguzzini di Bolzaneto rendendone difficile l’identificazione: basti ricordare come la polizia tergiversò nel ricostruire gli elenchi degli agenti presenti e come, alla richiesta di inviare le foto dei presenti per consentire i riconoscimenti, rispose mandando fotocopie delle foto dei tesserini, vecchie di anni e dunque inservibili. A tacere del fatto che, comunque, le vittime di Bolzaneto erano state sempre tenute con la testa bassa proprio con lo scopo che, in futuro, non riconoscessero nessuno. Onestamente, bisogna spendere – una volta tanto – una parola di elogio nei confronti dei PM che, nonostante tutte queste avversità, hanno tenuto duro nel costruire e provare l’accusa.
Ulteriore rammarico sorge perché si è risaliti solo a due responsabili intermedi, senza volere andare più in su. Episodi gravissimi come la sospensione di ogni diritto per i reclusi di Bolzaneto non avvengono senza il consenso preventivo e successivo dei gradi superiori. Peraltro presenti in molti momenti nella caserma. Basti pensare che dalla caserma transitò anche l’allora Ministro della Giustizia, il leghista Castelli. Nessuno si accorse di nulla? Oppure tutti approvavano e coprivano?
Ma forse, a guardare poi bene, non è mai troppo tardi per una sentenza come questa, che ripristina il valore dei diritti fondamentali dei cittadini (tanto più quando sono “in mano” all’autorità costituita e dunque intoccabili). Oggi il ricordo di quelle orribili giornate è un po’ svanito e la sentenza stessa ha avuto scarsa eco sulla stampa e in TV. Ma chiunque, in futuro, vorrà ricostruire quelle giornate non potrà non tenerne conto. Soprattutto dovrebbe servire da monito e minaccia a chi intendesse in futuro compiere simili abusi.
Essa, per esempio,dovrebbe costituire – se fossimo in un paese civile – un incentivo a riproporre e approvare la legge sul reato di tortura.
Inoltre, questa sentenza va letta con quella napoletana del mese scorso che condanna per sequestro di persona agenti e ufficiali che a marzo del 2001 – e dunque tre mesi prima del G8 genovese, rispetto a questo quasi una prova generale – si comportarono a Napoli come i condannati genovesi a Bolzaneto.
Ora aspettiamo l’ultimo atto: che sia fatta luce e vengano individuate responsabilità anche per il macello della scuola Diaz. La sentenza d’appello è attesa per questa primavera. Dopo di che potremo dire che, nonostante incertezze ed errori (pesanti condanne del tutto ingiustificate per alcuni manifestanti; nessun responsabile in alto loco indagato e condannato), alcuni episodi di quei tragici giorni sono stati ricostruiti correttamente.
Ezio Menzione G8 di Genova: una gragnuola di anni di carcere per alcuni dimostranti
Un commento dell'avvocato Ezio Menzione sulla recente sentenza contro 24 manifestanti .
Sentenza di appello della Corte d'Appello di Genova contro 24 dimostranti che nei giorni del G8 genovese erano scesi in piazza contro gli 8 capi di stato. 24 supposti black block, secondo l'accusa che per tutti loro ha sempre sostenuto che sarebbero stati colpevoli di devastazione e saccheggio, reato punito con la pena da 8 a 15 anni.
Per 10 di loro, già riconosciuti colpevoli in primo grado, le pene sono state addirittura aumentate (per 3 fra questi l'aumento è stato di 2, 3 e anche 5 anni, arrivando così al massimo di 15; per gli altri vi è stato un "ritocco" di qualche mese verso l'alto). Per 11 imputati, che avevano riportato pene miti, ma per i quali l'accusa aveva interposto appello, si è dichiarata la prescrizione (che una volta tanto non serve solo ai poliziotti aguzzini di Bolzaneto o ai massacratori della Diaz); 2 sono stati assolti; per uno è stato annullato l'intero giudizio. Fortunatamente ha resistito il punto più importante e positivo della prima sentenza: il comportamento dei dimostranti in via Tolemaide, anche se fu violento, fu giustificato dalle cariche dei carabinieri, del tutto illegittime e ingiustificate. A fronte di questo unico dato positivo, sta la gragnuola di anni per un reato che, nella sua materialità, è reato contro le cose, non contro le persone e che per ciò stesso dovrebbe essere riguardato (ed in effetti è considerato dal sentire comune) meno grave dei reati contro la persona (stupro, omicidio ecc.). Invece qui si è andati giù con una durezza "esemplare": pene da omicidio volontario. Tralasciamo qui di rilevare quanto già scriveva Beccaria nel ‘700: comminare pene così severe da andare vicino a quelle per i reati più gravi induce fatalmente a commettere questi ultimi: se devo rischiare così alto, tanto vale! L'esito di questo appello colpisce soprattutto perché giunge ad una settimana di distanza dall'assoluzione dell'allora Capo della Polizia De Gennaro: istituzionalmente il massimo responsabile per ciò che accadde a Genova in quei giorni. E che a Genova l'ordine pubblico non lo si seppe (o non lo si volle) tenere ed i responsabili di esso portino grosse colpe non siamo noi a dirlo, bensì la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che proprio in questi termini si è espressa in una sentenza del luglio scorso. Ma De Gennaro non solo non fu indagato né ha mai pagato per queste gravi responsabilità, ma è stato assolto anche dall'accusa, provata quanto meno su una base logica, di avere indotto alcuni testimoni eccellenti a dire il falso davanti ai magistrati per attenuare le responsabilità della polizia. Di ciò, infatti, questi si erano vantati in telefonate casualmente intercettate. Due pesi e due misure, si usa dire in questi casi. Durissimi coi dimostranti; miti, comprensivi, indulgenti e garantisti con le forze dell'ordine, qualunque crimine, anche gravissimo, esse compiano. E' vero, è proprio così, è quasi sempre così. Ma qui vi è di più. Vi è il tentativo di riscrivere nelle aule di giustizia la storia di quelle giornate addossando ai manifestanti le responsabilità e sollevandone le forze dell'ordine, in ogni ordine e grado: i gradi superiori non sono stati nemmeno chiamati a rispondere, quelli intermedi sono stati assolti, quelli più bassi hanno riportato (neanche sempre) pene mitissime e si avviano verso la prescrizione. Eppure le immagini di quelle giornate le abbiamo ancora davanti agli occhi: le violenze di alcuni dimostranti sono state sempre contro le cose, i beni; quelle delle forze dell'ordine sempre contro le persone, spesso inermi, spesso innocue, spesso addirittura già nelle mani di chi avrebbe dovuto custodirli senza torcergli un capello. Avete ancora negli occhi le immagini dei poliziotti che massacrano i dimostranti della Rete Lilliput, quelli con le mani tinte di bianco in Piazza Manin? Ve li ricordate ammassati impauriti in un angolo della piazza? ve li ricordate pesti e sanguinanti sotto i manganelli della polizia? Un'altra sentenza emessa a Genova la settimana scorsa ha stabilito che quei dimostranti, aggrediti dalla polizia che intanto lasciava che i veri black block si allontanassero indisturbati, sono colpevoli di avere intralciato il buon lavoro delle forze dell'ordine. Il prossimo 20 ottobre ci sarà l'appello contro la sentenza di Bolzaneto e il 20 novembre quello per i fatti della Diaz. Se piove di quel che tuona, agli aguzzini e ai massacratori daranno un premio.