Ezio Menzione - Bolzaneto e le altre sentenza

 

 

 

 

BOLZANETO E LE ALTRE SENTENZE

di Ezio Menzione

 

 

 

Quasi tutti i commenti alla sentenza genovese sui fatti di Bolzaneto sono stati negativi: le molte, troppe assoluzioni, il non avere riscontrato il reato di abuso d’ufficio, la mitezza delle pene comminate, in particolare a quel medico penitenziario, Dr.Toccafondi, che, nella ricostruzione unanime delle vittime, contribuì non poco alle sevizie, con il suo sorvolare sulle ferite, le ecchimosi gli ematomi.

Sono d’accordo, non è una sentenza bella, sembra quasi che i giudici abbiano avuto paura ad affondare il bisturi. In parte anche perché col clima di omertà che aveva circondato e limitato le indagini (la polizia che non voleva fornire e di fatto non fornì ai PM foto degli agenti utili per i riconoscimenti) i risultati del processo non potevano essere che parziali. Specialmente se chi giudica si pone anche problemi di garantismo (sempre a senso unico, può obbiettare qualcuno).

Ma credo che questa sentenza meriti alcune altre considerazioni, meno negative.

E’ la prima volta che lo Stato (i giudici) riconosce la responsabilità di un gruppo consistente di propri servitori per episodi di violenza contro cittadini che, per essere nelle mani dello Stato stesso (in carcere) avrebbero dovuto essere intangibili. All’inizio di questa vicenda giudiziaria (7 anni fa, quando cominciarono le indagini), conoscendo dell’impunità che sempre ha accompagnato poliziotti, carabinieri e guardie penitenziarie violenti, nessuno avrebbe scommesso su questo risultato. All’indomani del proscioglimento di Placanica per l’omicidio di Carlo Giuliani, poi, nessun spiraglio ottimista era consentito.

Tutti hanno già detto dell’atteggiamento omertoso tenuto dalle forze dell’ordine in fase di indagini, ma anche in fase di dibattimento. Non è privo di significato che il tribunale genovese abbia rimandato gli atti in procura perché si proceda per falsa testimonianza nei confronti di molti testi appartenenti appunto alle schiere di chi l’ordine avrebbe dovuto tutelarlo. Si sapeva che l’individuazione delle singole responsabilità (chi aveva picchiato chi) non sarebbe stato affatto facile.

L’assenza dal nostro codice penale del reato di tortura non è priva di effetti. Non è per niente facile surrogare tale dato contestando l’abuso d’ufficio e i reati materiali (percosse, lesioni, maltrattamenti, magari aggravati dai futili motivi). Alla fine, l’assenza produce i suoi benefici risultati sui torturatori.

Alla fine, si diceva, ma qui non siamo ancora alla fine. Fra qualche mese molti reati andranno in prescrizione, ma non tutti, se il PM interporrà appello.

Soprattutto credo si debba collocare questa sentenza nell’arco delle pronunce che riguardano i fatti di quei mesi del 2001.

Non è un caso che il risultato peggiore (in termini giuridici e, per quel che conta, in termini di verità) si ottenne sull’omicidio Giuliani, per il quale non si è arrivati al processo.

In tutto gli altri casi, in cui il processo si è celebrato, i risultati sono stati migliori, più aderenti ai fatti.

A Cosenza il teorema del Sud Ribelle è miseramente crollato: vittoria completa rispetto ad una costruzione faziosa, anzi potremmo dire fantasiosa e priva di ogni supporto.

Ma anche a Genova, il processo contro i dimostranti (genericamente unificati sotto il termine Black Block) si è sfaldato nel suo impianto generale, riconoscendo che non solo non tutte le azioni di costoro potevano essere etichettate come devastazione e saccheggio, ma addirittura che anche nello sconvolgimento dell’ordine pubblico in quei tre giorni vi furono responsabilità precise delle cosiddette forze dell’ordine.

E non dimentichiamo la miriade di piccoli processi per violenza e resistenza nei confronti dei singoli dimostranti, quasi sempre finiti con l’assoluzione di costoro e dunque, implicitamente, col riconoscimento della responsabilità di chi aveva proceduto agli arresti.

Staremo a vedere cosa si deciderà sul macello della Diaz

Credo si possano trarre alcune conclusioni: prima di tutto, che quando si va al dibattimento anche la prospettiva di chi andò a Genova per manifestare liberamente e fu invece picchiato o arrestato o tutt’e due le cose viene tenuta in qualche conto. L’impunità assoluta delle forze dell’ordine non è più garantita. Nonostante che la blocca-processi mirasse proprio a bloccare anche quelli di Genova; e così l’accorciamento delle prescrizioni (tanto per dire quanto stessero e stiano a cuore ai governanti i loro prodi servitori). Proprio il non vedere più garantita l’impunità di poliziotti e sgherri vari può essere considerato un grosso passo avanti imposto dal movimento che dopo Genova si è espresso e ha lottato per anni.

Infine, un processo è pur sempre un processo, la verità che si ricostruisce in aula è sempre un pallido specchio (quando non una parodia) di ciò che è realmente accaduto. E ciò è tanto più vero quando si tratta di processi collettivi (per i molti imputati, per le molte parti offese, per lo scenario da ricostruire). Quasi mai il risultato è tutto bianco o tutto nero. Il giudizio politico può anche esserlo, il responso giudiziario – fatalmente – mai. Il processo è sempre anche un “luogo di compensazione”, in cui non soltanto vengono contemperati i punti di vista, le testimonianze discordi, ma soprattutto è il luogo in cui, sotto la fragile campana di vetro della norma penale, vengono soppesati ed infine valutati con maggiore o minore timidezza o arroganza gli interessi in gioco, per mediarli e, in qualche modo, pacificare gli animi. Sentenze di questo tipo non abbracceranno quasi mai un unico punto di vista (ma non è stato così per il Sud Ribelle, come ho detto). Sentenze di questo tipo, però, anche solo vent’anni fa sarebbero state impensabili.