Dario Rossi - Report dalla Palestina

Dal 3 all’11 Giugno 2008, una delegazione composta da avvocati e magistrati, organizzata dai Giuristi Democratici in collaborazione con la campagna Freedom Now promossa dall’Arci Toscana (volta alla liberazione di tutti i detenuti minori palestinesi), si è recata in Palestina per uno studio sulle condizioni dei palestinesi minorenni detenuti nelle carceri israeliane.

Il 6 Giugno la delegazione ha partecipato alla terza conferenza internazionale di Bil’in Terza Conferenza Annuale (4-6 giugno) organizzata dal Comitato popolare e
di resistenza nonviolenta di Bil’in, vicino Ramallah, a cui hanno preso
parte la Vice Presidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini contro il Muro di separazione, che ha separato la popolazione dalle terre coltivabili. La manifestazione si svolge tutti i Venerdì, è tradizionalmente pacifica; gli abitanti hanno anche vinto un ricorso alla Corte Suprema israeliana che ha dichiarato l’illegittimità del tracciato del Muro, che deve essere rimosso, ma la sentenza non è stata eseguita così la popolazione continua la sua protesta. Quando il nostro corteo ha raggiunto la rete di separazione, i soldati hanno senza preavviso ed in assenza di provocazioni, hanno sparato una raffica di lacrimogeni ad altezza d’uomo, uno dei quali ha colpito il magistrato Giulio Toscano a pochi centimetri dall’occhio.

La nostra delegazione ha incontrato gli avvocati della sezione palestinese di Defence For Children International nelle loro sedi di Ramallah, Hebron e Betlemme, il Ministro per i detenuti palestinesi, oltre a altre associazioni, sia israeliane che palestinesi (Hamoked, Ichad, Al Haq, l’Hebron Riabilitiation Center, l’associazione Free Marwan Barghouti,), che si occupano a vario titolo delle discriminazioni perpetrate dallo stato di Israele ai danni della popolazione palestinese nei territori occupati. Importanti anche gli incontri con ex detenuti minorenni, che hanno testimoniato gli abusi e le violenze subite nelle carceri israeliane.

Dall’inizio della seconda Intifada nel Settembre 2000, sono stati arrestati più di 7000 minori ed attualmente ve ne sono oltre 300 tuttora detenuti nelle carceri israeliane. Uno degli Ordini Militari israeliani che disciplinano ogni aspetto della vita nei Territori Occupati, stabilisce che i palestinesi diventano maggiorenni a 16 anni di età, in spregio alla convenzione internazionale sui Diritti dei Fanciulli, ratificata anche da Israele, ed al fatto che viceversa gli israeliani, risiedano essi in Israele o nelle colonie dei Territori, raggiungono la maggiore età a 18 anni.

Per i minori palestinesi non esistono norme di procedura speciali, né un codice penale minorile, né speciali centri di detenzione, né personale specializzato nel trattamento dei minori. L’arresto, l’interrogatorio, il processo, la detenzione dei minori non si differenziano per nulla rispetto ai maggiorenni; l’unica differenza consiste nella misura della pena, ma incredibilmente l’età dell’imputato è valutata con riferimento al momento della condanna, e non della commissione del reato.

I minori vengono tenuti nelle stesse celle in promiscuità con gli adulti.

Tutte le carceri per palestinesi sono site nel territorio israeliano, così come i Tribunali Militari, in violazione della IV Convenzione di Ginevra (ratificata da Israele), che vieta la deportazione della popolazione residente nel territorio occupato all’interno dello stato occupante.

La nostra delegazione ha assistito ad alcuni processi celebrati nel carcere militare di OFFER. I minori vengono portati in udienza a gruppi di due, con mani e piedi incatenati; durante l’udienza gli vengono tolte solo le manette ai polsi. Il processo si svolge davanti ad una corte marziale composta solo da militari, e si svolge tutto in lingua ebraica, con l’ausilio di un interprete che traduce solo una parte ridotta di quanto viene detto in udienza. Le udienze durano circa 10 minuti per ogni imputato, e vengono continuamente introdotti altri imputati, che si avvicendano velocemente.

All’udienza possono assistere i parenti degli imputati, ma è loro vietato avvicinarsi ai detenuti. Una guardia li fa sistematicamente sedere nei posti più lontani, in ultima fila.

Gli avvocati palestinesi devono conoscere la lingua ebraica, ed richiedere alle autorità il permesso per entrare in territorio israeliano per incontrare i clienti e partecipare ai processi; altrettanto devono fare i parenti dei detenuti; per ottenere un permesso ci vogliono spesso parecchi mesi, e spesso viene negato. Ai parenti di età compresa tra i 16 ed i 35 anni, è vietato ogni visita ai detenuti.

Ai genitori arrestati, in occasione delle visite di figli molto piccoli, è vietato anche l’abbraccio con i figli.

I detenuti della Striscia di Gaza stanno ancora peggio, in quanto da più di un anno, è preclusa la visita di congiunti.

Nelle carceri le condizioni igienico-sanitarie sono disastrose, è negato l’accesso a trattamenti sanitari adeguati così come del tutto inadeguata è la possibilità per i minori detenuti di proseguire gli studi e godere di una qualsivoglia istruzione (una media di due ore la settimana di lezione, quando ci sono, senza alcuna distinzione per classi e per età).

Il 50% delle condanne nei confronti dei minori è relativa al lancio di sassi, punito con pene fino a 10 anni di reclusione e che costituisce di per sé un crimine anche qualora questi sassi non colpiscano né persone nei veicoli ma siano semplicemente indirizzati verso “infrastrutture” di sicurezza, come ad esempio il muro di separazione, Per i reati per i quali è prevista una pena massima inferiore a 10 anni, non è prevista nemmeno la necessità dell’assistenza di un difensore.

 

Alcuni testimoni:

 

Abbiamo incontrato un ragazzo di 14 anni, prelevato da uomini in borghese presso la propria abitazione alle 4 di notte, spruzzato con il gas sulla faccia, colpito più volte anche quando era in terra, e durante gli interrogatori, costretto a firmare una confessione in ebraico, lingua a lui sconosciuta (come la gran parte degli arrestati); è stato condannato a 4 mesi e mezzo di reclusione per aver lanciato un sasso nella direzione del muro, senza neppure colpirlo. Durante la detenzione gli è stato consentito di vedere i genitori solo per due volte.

 

Ad Hebron abbiamo incontrato i bambini di una famiglia, composta da sei fratelli, tutti minorenni, la più piccola dei quali di soli 4 anni, i cui genitori da oltre tre anni sono entrambi trattenuti in detenzione amministrativa (detenzione che viene disposta per motivi di “sicurezza” per la durata massima di sei mesi prorogabili per un numero indefinito di volte e senza necessità di contestare all’imputato alcuna incriminazione). Questi sei fratellini vivono soli con la nonna materna, e hanno visto i genitori pochissime volte. Vivono con un sussidio dell’ANP di 300 euro mensili, ed hanno smesso di andare a scuola. Israele ha offerto alla sola madre la possibilità di riacquistare la libertà a condizione che accetti di trasferirsi per sempre in Giordania.

 

 

Il quadro offerto alla delegazione di giuristi è estremamente angosciante.

La politica di Israele è volta a stroncare le nuove generazioni di palestinesi, procedendo ad arresti di massa di bambini dai 13 anni in su, trattenuti anche a più riprese per anni nelle carceri israeliane, privi di istruzione e di adeguate cure, destinati a crescere in carceri in cattive condizioni fisiche, di salute e culturali, e, molto probabilmente, marchiati per sempre da un desiderio di vendetta nei confronti degli israeliani.

You welcome”, ci ripetevano in continuazione questi ragazzi, mentre ci raccontavano le loro storie; col nodo in gola, a volte, era difficile fare delle domande.