Commento di Ezio Menzione alla sentenza d'Appello per Bolzaneto

 

SENTENZA D’APPELLO SU BOLZANETO

LA VERITA’ TARDIVA

di Ezio Menzione

 

 

Tutti condannati i gli ufficiali, gli agenti e i medici della Polizia Penitenziaria – 32 in tutto - che si resero responsabili delle violenze nella caserma-luogo di detenzione di Bolzaneto nei giorni dal 20 al 22 luglio 2001, nella Genova bloccata per il summit del G8. Trentadue responsabili, ma nessuna condanna concreta perché nel frattempo (sono quasi 9 anni) i reati contestati (lesioni aggravate, abuso d’ufficio, falso) sono andati prescritti: nessuno, dunque, corre il rischio di fare nemmeno un giorno di carcere. Ma la responsabilità generale, e non solo dei singoli, sembra essere stata definitivamente accertata. Tale accertamento comporta anche che tutti i “condannati” debbano rispondere civilmente per i danni subìti dalle moltissime vittime di quegli abusi; già sono state indicate delle congrue provvisionali.

Non si può non essere soddisfatti di questo risultato, tenacemente voluto da molte associazioni e da un gruppo di irriducibili avvocati che in tutti questi anni hanno puntato il dito sulle responsabilità dei singoli e dei capi.

 

Eppure la sentenza lascia anche un po’ di amaro in bocca.

Essa giunge tardi, come si è detto. Tardi rispetto ai tempi della giustizia e ai risultati che essa dovrebbe perseguire.

Ma soprattutto tardi rispetto alla necessità che si avvertiva, all’indomani dei fatti, che i responsabili politici ed operativi di quelle inaudite violenze venissero individuati e rimossi e pagassero per i crimini commessi. Invece, lungi dall’essere rimossi, quasi tutti hanno fatto carriera.

Come è potuto accadere che la prescrizione abbia “cancellato” per molti versi quei fatti?
Innanzitutto vi è una responsabilità generale che sta nel fatto che l’Italia non ha mai voluto introdurre nel proprio codice penale il reato di tortura (“trattamenti inumani e degradanti”di persone sottoposte). Nonostante che il nostro paese abbia sottoscritto la convenzione internazionale contro la tortura, poi non le ha mai dato attuazione pratica inserendo nel nostro ordinamento lo specifico reato. Ci si avvicinò durante il governo Veltroni, e la relativa legge venne calendarizzata in aula, ma poi il governo fu travolto e non se ne fece più di nulla. Se avessimo il reato di tortura, esso sarebbe stato sicuramente applicato nel caso di Bolzaneto e un reato così grave non si sarebbe prescritto.

 

Vi è poi la responsabilità di chi per anni ha coperto gli aguzzini di Bolzaneto rendendone difficile l’identificazione: basti ricordare come la polizia tergiversò nel ricostruire gli elenchi degli agenti presenti e come, alla richiesta di inviare le foto dei presenti per consentire i riconoscimenti, rispose mandando fotocopie delle foto dei tesserini, vecchie di anni e dunque inservibili. A tacere del fatto che, comunque, le vittime di Bolzaneto erano state sempre tenute con la testa bassa proprio con lo scopo che, in futuro, non riconoscessero nessuno. Onestamente, bisogna spendere – una volta tanto – una parola di elogio nei confronti dei PM che, nonostante tutte queste avversità, hanno tenuto duro nel costruire e provare l’accusa.

 

Ulteriore rammarico sorge perché si è risaliti solo a due responsabili intermedi, senza volere andare più in su. Episodi gravissimi come la sospensione di ogni diritto per i reclusi di Bolzaneto non avvengono senza il consenso preventivo e successivo dei gradi superiori. Peraltro presenti in molti momenti nella caserma. Basti pensare che dalla caserma transitò anche l’allora Ministro della Giustizia, il leghista Castelli. Nessuno si accorse di nulla? Oppure tutti approvavano e coprivano?

 

Ma forse, a guardare poi bene, non è mai troppo tardi per una sentenza come questa, che ripristina il valore dei diritti fondamentali dei cittadini (tanto più quando sono “in mano” all’autorità costituita e dunque intoccabili). Oggi il ricordo di quelle orribili giornate è un po’ svanito e la sentenza stessa ha avuto scarsa eco sulla stampa e in TV. Ma chiunque, in futuro, vorrà ricostruire quelle giornate non potrà non tenerne conto. Soprattutto dovrebbe servire da monito e minaccia a chi intendesse in futuro compiere simili abusi.

Essa, per esempio,dovrebbe costituire – se fossimo in un paese civile – un incentivo a riproporre e approvare la legge sul reato di tortura.

Inoltre, questa sentenza va letta con quella napoletana del mese scorso che condanna per sequestro di persona agenti e ufficiali che a marzo del 2001 – e dunque tre mesi prima del G8 genovese, rispetto a questo quasi una prova generale – si comportarono a Napoli come i condannati genovesi a Bolzaneto.

Ora aspettiamo l’ultimo atto: che sia fatta luce e vengano individuate responsabilità anche per il macello della scuola Diaz. La sentenza d’appello è attesa per questa primavera. Dopo di che potremo dire che, nonostante incertezze ed errori (pesanti condanne del tutto ingiustificate per alcuni manifestanti; nessun responsabile in alto loco indagato e condannato), alcuni episodi di quei tragici giorni sono stati ricostruiti correttamente.